Commento dell’ Avv. Pietro Frisani alla sentenza 173/2016 Corte Costituzionale.
Con il deposito delle motivazioni della sentenza della Corte Costituzionale n. 173/2016 è possibile fare una riflessione sui contenuti della stessa e sugli eventuali possibili effetti che possano determinarsi sulla nostra vicenda.
Premetto che la Corte era stata chiamata a decidere due questioni:
1) La prima il contributo di solidarietà sulle pensioni eccedenti i 91.344 annui;
2) Il nuovo metodo di perequazione delle pensioni previsto dal governo Letta nel 2014
Sul contributo di solidarietà, per quel che ci riguarda la Corte ha fornito un’impostazione che assume particolare rilievo positivo per il nostro ricorso, ove avevamo eccepito come primo motivo di illegittimità costituzionale del “bonus Poletti” la violazione dell’art. 136 Cost. che prevede appunto l’obbligo da parte dello Stato di dare esecuzione alle sentenze della Corte Costituzionale.
L’art. 136 prevede infatti che lo Stato non può reiterare un norma che era stata dichiarata incostituzionale, così come aveva fatto per il contributo di solidarietà e come ha fatto per la rivalutazione con il decreto Renzi.
Nel ricorso avente ad oggetto il contributo di solidarietà in sostanza si contestava al legislatore il fatto di aver previsto un nuovo contributo di solidarietànonostante la Corte l’ avesse dichiarato incostituzionale con la sentenza n. 116/2013 con ciò violando l’ art 136 Cost.
Ebbene la Corte con la sentenza 173/2016 ha respinto l’ eccezione nei termini che qui di seguito si riportano integralmente:
“Venendo allo scrutinio delle questioni così elencate, deve, in primo luogo, escludersi che sussista la denunciata violazione dell’art. 136 Cost.
Il contributo di solidarietà ora in contestazione non colpisce, infatti, le pensioni erogate negli anni (2011-2012), incise dal precedente contributo perequativo, dichiarato costituzionalmente illegittimo in ragione della sua accertata natura tributaria e definitivamente, quindi, caducato (e conseguentemente recuperato da quei pensionati) per effetto della sentenza di questa Corte n. 116 del 2013; colpisce, invece, sulla base di differenti presupposti e finalità, pensioni, di elevato importo, nel successivo periodo, a partire dal 2014.
E tanto esclude che la disposizione sub comma 486 dell’art. 1 della legge n. 147 del 2013 sia elusiva del giudicato costituzionale (rappresentato dalla suddetta sentenza), atteso appunto, che l’odierna disposizione non disciplina le stesse fattispecie già regolate dal precedente art. 18, comma 22-bis, del d.l. n. 98 del 2011, né surrettiziamente proroga gli effetti di quella norma dopo la sua rimozione dall’ordinamento giuridico (vedi sentenza n. 245 del 2012). (cfr sentenza 173/2016 punto 8)”.
La Corte cioè ritiene che nella fattispecie non poteva parlarsi di violazione del giudicato costituzionale perché lo Stato a seguito della sentenza della corte n. 116/2013 si era adeguato restituendo i denari sottratti ai pensionati per gli anni 2011 e 2012 ( “e conseguentemente recuperato da quei pensionati”) …. E il nuovo contributo di solidarietà era relativo ad altre annualità ( a partire dal 2014) e non alle stesse per le quali la Corte aveva dichiarato l’ incostituzionalità.
Ebbene per quel che riguarda la nostra vicenda ovvero la rivalutazione della pensione questo passaggio assume una rilevanza assoluta e ci conforta sul buon esito del nostro ricorso, poiché ci da ulteriore conferma della sussistenza di tutti i presupposti idonei ad integrare la violazione dell’ art. 136 Cost. .
Ed infatti con la sentenza n. 70/2015 la presidenza del Consiglio dei Ministri :
1) è stata destinataria di una sentenza che dichiarava l’incostituzionalità in toto dell’art. 24, comma 25, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, nella parte in cui prevede che «In considerazione della contingente situazione finanziaria, la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall’art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, è riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 100 per cento»;
2) ne è scaturito un OBBLIGO da parte dello Stato di far recuperare ai pensionati interessati ciò che era stato illegittimamente sottratto in forza di una norma illegittima, come è stato fatto per il contributo di solidarietà confermato dalla Corte nel più volte richiamato inciso “e conseguentemente recuperato da quei pensionati”;
3) l’obbligo di restituzione doveva essere incondizionato e totale perché la sentenza della Corte è stata completamente caducatoria cioè ha spazzato via dall’ordinamento giuridico la norma senza se e senza ma;
4) Lo stato ha pagato solo in parte ad alcuni ed ad altri nulla con ciò dando esecuzione solo parziale in alcuni casi e nessuna esecuzione in altri alla sentenza della Corte;
5) E’ intervenuto sulle STESSE annualità il cui blocco era stato considerato illegittimo.
In definitiva proprio alla luce di quanto esposto dalla Corte nella sentenza 173/2016 si ricavano ulteriori importanti elementi che consentono di ritenere sussitenti TUTTI i presupposti della violazione dell’ art. 136 Cost.
Qui di seguito riporto il paragrafo n. 6 del ricorso giurisdizionale da me redatto per vostro conto depositato presso le varie Corte dei Conti e Tribunali del lavoro nel quale ho espressamente sollevato la violazione dell’ art. 136 Cost..
“6. SULLA ILLEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE DELL’ ART. 1 D.L. 65/2015 TESTO VIGENTE PER VIOLAZIONE DEL GIUDICATO COSTITUZIONALE: VIOLAZIONE ART. 136 DELLA COSTITUZIONE
1. Quanto appena sopra evidenziato dimostra incontrovertibilmente come la novella introdotta con il D.L. 65/2015 sostanzi macroscopica violazione del giudicato costituzionale.
2. Ipotesi indubitabilmente ravvisabile nell’operato del legislatore posto che la giurisprudenza della Consulta ha chiarito che l’inottemperanza al proprio giudicato si ha “non solo quando il legislatore emana una norma che costituisce una mera riproduzione di quella già ritenuta lesiva della Costituzione, ma anche laddove la nuova disciplina miri a “perseguire e raggiungere, anche se indirettamente”, “esiti corrispondenti” (così Corte Costituzionale sent. n. 245 del 2012; ed in termini le sentt. n. 223 del 1983, n. 88 del 1966 e n. 73 del 1963).
3. Principio la cui esatta ermeneutica è stata recentissimamente reillustrata dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 169/2015 del 16 luglio 2015. Nella decisione de qua la Consulta ha, infatti, dichiarato l’illegittimità di una nuova norma di legge che sostanzialmente aveva ripristinato la norma di legge in precedenza dichiarata incostituzionale: “non possa risultare pronunciata “inutilmente”, come accadrebbe quando una accertata violazione della Costituzione potesse, in una qualsiasi forma, inopinatamente riproporsi. E se, perciò, certamente il legislatore resta titolare del potere di disciplinare, con un nuovo atto, la stessa materia, è senz’altro da escludere che possa legittimamente farlo – come avvenuto nella specie – limitandosi a “salvare”, e cioè a “mantenere in vita”, o a ripristinare gli effetti prodotti da disposizioni che, in ragione della dichiarazione di illegittimità costituzionale, non sono più in grado di produrne. Il contrasto con l’art. 136 Cost. ha, in un simile frangente, portata addirittura letterale.”
4. Al riguardo, va rammentato come, sin da epoca ormai risalente, la giurisprudenza costituzionale non abbia mancato di sottolineare il rigoroso significato della norma contenuta nell’art. 136 Cost.: su di essa – si è detto – «poggia il contenuto pratico di tutto il sistema delle garanzie costituzionali, in quanto essa toglie immediatamente ogni efficacia alla norma illegittima», senza possibilità di «compressioni od incrinature nella sua rigida applicazione» (sentenza n. 73 del 1963, che dichiarò la illegittimità di una legge, successiva alla pronuncia di illegittimità costituzionale, con la quale il legislatore aveva dimostrato «alla evidenza» la volontà di «non accettare la immediata cessazione dell’efficacia giuridica della norma illegittima, »; tra le altre pronunce risalenti, la sentenza n. 88 del 1966, ove si è precisato che il precetto costituzionale, di cui si è detto, sarebbe violato «non solo ove espressamente si disponesse che una norma dichiarata illegittima conservi la sua efficacia», ma anche ove una legge, per il modo con cui provvede a regolare le fattispecie verificatesi prima della sua entrata in vigore, perseguisse e raggiungesse, «anche se indirettamente, lo stesso risultato»). Princìpi, questi, ripresi e ribaditi in numerose altre successive decisioni (fra le altre, le sentenze n. 73 del 2013; n. 245 del 2012; n. 354 del 2010; n. 922 del 1988; n. 223 del 1983).
5. Dalla lettura sinottica dell’equilibrio dei poteri di cui alla Carta Costituzionale si evince come in alcun modo le decisioni di illegittimità costituzionale della Consulta possano arrivare a depauperare il legislatore dei compiti suoi propri ma in maniera del tutto parimenti evidente risulta positivamente affermato che tali decisioni non possano essere ignorate dal legislatore a meno di non volere intendere lo Stato democratico nei termini imperiali del princeps legibus solutus con ciò eludendo i postulati stessi del nostro ordinamento che ha individuato, nella previsione di una costituzione rigida, lo strumento per regolamentare il possibile conflitto tra lex (di matrice politica/contingente) e jus (quale diritto nella accezione di permanenza e pervasività dei valori fondanti il contratto sociale)
6. Ciò posto la riproposizione nel testo novellato di tutte le incongruenze costituzionali già (ampiamente e reiteratamente) stigmatizzate nei precedenti giurisprudenziali della Consulta appalesa il concreto integrarsi del vizio di illegittimità costituzionale lamentato.”
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La Corte era stata anche investita della questione un po’ più vicina alla nostra ovvero sulla nuova disciplina della rivalutazione monetaria prevista dal Governo Letta.
Vale ricordare che durante la pendenza del giudizio di costituzionalità del Decreto Monti, è stata emanata ad opera del Governo Letta la legge di stabilità per l’anno 2014 (legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato-legge di stabilità»), la quale, all’art. 1, comma 483, lettera e), ha reintrodotto, per il triennio 2014-2016, percentuali di perequazione molto più vicini a quelli previgenti.
Nella legge di stabilità si legge:
“Per il triennio 2014-2016 la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall’articolo 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, è riconosciuta:
a) nella misura del 100 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente pari o inferiori a tre volte il trattamento minimo INPS.;b) nella misura del 95 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a tre volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a quattro volte il trattamento minimo INPS;
c) nella misura del 75 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a quattro volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a cinque volte il trattamento minimo INPS;
d) nella misura del 50 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a cinque volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a sei volte il trattamento minimo INPS;
e) nella misura del 40 per cento, per l’anno 2014, e nella misura del 45 per cento, per ciascuno degli anni 2015 e 2016, per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS ..e, per il solo anno 2014, non è riconosciuta con riferimento alle fasce di importo superiori a sei volte il trattamento minimo INPS.
Tale dato normativo evidenzia empiricamente la consapevolezza del legislatore della inaccettabile previsione della limitazione del meccanismo perequativo in misura non progressiva e percentualmente molto più bassa per il biennio 2012/ 2013 e prova che le limitazioni al sistema perequativo automatico delle pensioni di cui al d.l. 65/2015 assumono il significato, non tanto di riequilibrare in senso solidaristico il sistema previdenziale, quanto di operare un mero risparmio di cassa con ciò non integrandosi alcuno dei parametri atti a supportare l’eventuale conformità a costituzione della efficacia retroattiva della norma.
Ebbene QUESTA disposizione cioè quella che prevedeva per il 2014 la rivalutazione dal 100 al 40% è stata richiesta di vaglio di costituzionalità dalla Corte dei Conti della Calabria ed è QUESTA la norma che è stata dichiarata legittima dalla Corte Costituzionale!
Orbene è di tutta evidenza la assoluta diversità tra questa norma che prevede una rivalutazione sino ad un minimo del 40% per gli scaglioni più alti rispetto a quella del decreto Renzi che stabilisce una pseudo rivalutazione solo per un anno senza effetto trascinamento e con percentuali assolutamente irrisorie.
Ma MAGARI la Corte potesse pronunciarsi nel senso di dire che ai pensionati si applica per il 2012 e 2013 la rivalutazione prevista dal Governo Letta!!
Ed infatti la Corte ha dichiarato congrua questa modulazione in scaglioni della rivalutazione perché ad avviso dello scrivente oggettivamente lo è!!
Ad ogni buon conto si riporta qui di seguito il paragrafo n. 3 del ricorso giurisdizionale da me redatto per vostro conto depositato presso le varie Corte dei Conti e Tribunali del lavoro dove prendo espressamente posizione sul unto della lesione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza.
3. SULLA ILLEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE DELL’ART. 1 D. L. 65/ 2015, TESTO VIGENTE NELLA PARTE IN CUI INCIDE SUL DIRITTO QUESITO DEI RICORRENTI AD OTTENERE LA PEREQUAZIONE DELLA PROPRIA PENSIONE IN MISURA INTEGRALMENTE CORRISPONDENTE A QUANTO PREVISTO DALL’ART. ART. 69 L. 388/2000. VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 2, 3, 36 E 38 COST.: LESIONE DEI PRINCIPI DI PROPORZIONALITA’ E RAGIONEVOLEZZA
7. L’apparato normativo censurato si pone, altresì, in contrasto con l’art. 2 della Costituzione e con l’art. 3 della Costituzione laddove dispone la irragionevole limitazione della perequazione del trattamento pensionistico dei ricorrenti per gli anni 2012 e 2013 reiterando un trattamento empiricamente sperequativo e tratteggiato in palese violazione dei limiti di proporzionalità e adeguatezza (naturali corollari dei principi di solidarietà ed eguaglianza dei dati costituzionali di cui agli articoli 2 e 3 della Carta costituzionale).
8. Conclusione questa incontrovertibile solo che si legga quanto statuito dalla Consulta in materia di (non) conformità a costituzione dei meccanismi legislativi di blocco e/o limitazione della operatività dell’automatismo perequativo delle pensioni di cui alla originaria formulazione del comma 25 art. 24 d.l. 201/2011.
9. Invero a mente della sentenza 70/2015 il comma anzidetto collideva con i profili della proporzionalità e ragionevolezza imposti dal rispetto dei principi costituzionali valevoli in materia in ragione dalla natura “draconiana” della previsione che escludeva tout court i trattamenti pensionistici di importo superiore a tre volte il minimo INPS dalla possibilità di essere perequati.
10. A fronte di tale statuizione il legislatore era chiamato ad intervenire per emendare la legge dai profili di illegittimità concretamente accertati.
11. La mera lettura del dato normativo evidenzia come, al contrario, l’intervento abbia solo formalmente epurato il sistema dalle illiceità riscontrate arrivando, invero a peggiorare per alcune categorie la disciplina già dichiarata incostituzionale.
12. L’obiettivo del legislatore avrebbe dovuto essere quello di definire una modalità di calcolo per restituire gli arretrati agli aventi diritto e tale da risultare al contempo rispondente sia alle esigenze di equilibrio della spesa pubblica (esigenza di innegabile rilevanza costituzionale) sia ai principi enunciati dalla Corte Costituzionale, riferiti segnatamente all’adeguatezza e alla proporzionalità dei trattamenti pensionistici.
13. La tecnica legislativa utilizzata è stata quella di dare nuova formulazione dell’art. 24 comma 25 del D.L. 201/2011 e, dall’altro lato, nell’aggiunta – nel medesimo articolo – dei comma 25 bis e 25 ter, con ciò delineandosi una nuova regolamentazione avente efficacia retroattiva del meccanismo perequativo per gli anni 2012-2013 caratterizzato dalle medesime illiceità costituzionali ed anzi atte ad avere eco pratica ben oltre il biennio interessato dall’intervento correttivo.
14. Una ineffabile e pervicace volontà del legislatore di perseverare nelle illegittimità già stigmatizzate come incostituzionali della precedente formulazione del comma 25 dell’art. 24 d.l. 201/2011 resa evidente da quanto appresso sottolineato sul portato pratico del combinato disposto dal novellato comma 25 e dei commi 25 bis e 25 ter dell’art. 24 d.l. 201/2011 introdotti con la normativa impugnata.
15. Le disposizioni in oggetto hanno previsto che le pensioni interessate dalla rivalutazione (id est quelle il cui importo nel 2011 e nel 2012 è ricompreso tra tre e sei volte il trattamento minimo INPS vigente nei medesimi anni), siano sottoposte a tre diverse ricostituzioni, che producono effetti finanziari a titolo di arretrati o di importo in pagamento nel 2012 e nel 2013 (comma 25), nel 2014 e nel 2015 (comma 25 bis, lettera a), a decorrere dal 2016 (comma 25 bis, lettera b) oltre a prevedere che gli importi così ottenuti saranno poi soggetti alle norme vigenti sulla perequazione dal 2014 (25 ter).
16. Il blocco della perequazione automatica permane, invero, come strutturale per le pensioni eccedenti sei volte il minimo INPS.
17. Il calcolo per la perequazione dei trattamenti pensionistici (o meglio per quelli interessati dalla possibilità di conseguire rivalutazione) deve essere, quindi, effettuato prendendo a base l’importo complessivo dei trattamenti alla data di dicembre 2011, importo sul quale effettuare tre diverse rivalutazioni, da utilizzare rispettivamente:
· per il 2012 e il 2013;
· per il 2014 e 2015;
· dal 2016.Rivalutazione per gli anni 2012 e 2013
Fasce trattamento % indice perequazione da attribuire Fino a 3 volte il TM 100 Oltre 3 e fino a 4 volte il TM 40 Oltre 4 e fino a 5 volte il TM 20 Oltre 6 volte il TM Zero 18. L’importo della perequazione così ottenuta non è però integralmente computato quale incremento della base di calcolo per i successivi anni ed infatti con il comma 25 bis il già risibile riconoscimento operato risulta, ai fini della crescita del montante pensionistico di riferimento, sostanzialmente eluso e permette di ricostruire gli importi riconosciuti con il novellato comma 25 come una sorta di una tantum e certo non come ricostituzione dei trattamenti previdenziali interessati.
19. Rivalutazione per gli anni 2014 e 2015
Si consideri, infatti, che il comma 25 bis art. 2 d.l. 201/2011 preveda (lett.a) che per gli anni 2014 e 2015 l’indice di perequazione sulle somme liquidate ex comma 25 sia:
Fasce trattamento complessivo % indice perequazione da attribuire Fino a 3 volte il TM 100 Oltre 3 e fino a 4 volte il TM 8 Oltre 4 e fino a 5 volte il TM 4 Oltre 5 e fino a 6 volte il TM 2 Oltre 6 volte il TM Zero 20. La deindicizzazione delle pensioni per due anni (salva l’inconsistente previsione del computo di cui sopra) determina, infatti, a causa del cd “effetto trascinamento” effetti inemendabili per gli anni a venire sostanziando un difetto di ricalcolo della base rivalutabile per un periodo di tempo (allo stato proiettandosi sino al 2016) atto ad incidere in senso sostanziale sulla entità di tutte le pensioni di importo superiore a tre volte il minimo INPS con effetti macroscopici sulla tenuta del potere di acquisto dei trattamenti previdenziale in godimento.
21. Un dato che lede ex se il criterio di ragionevolezza in relazione ai principi contenuti negli artt. 36, primo comma, e 38, secondo comma, Costituzione:
22. E’ indubitabile, infatti, come la limitazione del sistema perequativo delle pensioni, oltre ad impedire la conservazione nel tempo del valore del trattamento di quiescenza, va ad incidere direttamente sulla proporzionalità tra pensione e retribuzione goduta nel corso dell’attività lavorativa, tutelata dagli artt. 38 e 36 Costituzione con empirica dimostrazione della incostituzionalità del sistema delineato: “il perdurante necessario rispetto dei principi di sufficienza e di adeguatezza delle pensioni impone al legislatore, pur nell’esercizio del suo potere discrezionale di bilanciamento tra le varie esigenze di politica economica e le disponibilità finanziarie di individuare un meccanismo in grado di assicurare un reale ed effettivo adeguamento dei trattamenti di quiescenza alle variazioni del costo della vita (. .. ) Con la conseguenza che il verificarsi di irragionevoli scostamenti dell’entità delle pensioni rispetto alle effettive variazioni del potere di acquisto della moneta sarebbe indicativo della inidoneità del meccanismo in concreto prescelto ad assicurare al lavoratore e alla sua famiglia mezzi adeguati ad una esistenza libera e dignitosa nel rispetto dei principi e dei diritti sanciti dagli articoli 36 e 38 della Costituzione” (cfr. Corte Cost, 23 gennaio 2004, n.30).
23. Onde dare eco concreta alla macroscopica lesione subita dai ricorrenti giova fornire l’esemplificazione del portato concreto in cui si traduce la lamentata violazione per le pensioni di importo inferiore a sei volte il minimo INPS. Non volendo sottolineare l’ovvio non si ribadisce ulteriormente l’effetto disastroso che la novella legislativa ha sui trattamenti di importo superiore a sei volte il minimo INPS
[1].
24. Si prenda come paradigma di riferimento gli effetti su pensione “media” di € 2.000,00 lordi mensili (pari a circa € 1.350,00 netti) al 2011[2].
Importo pensione (Anno 2011) 2.000,00
Arretrati liquidati ex applicazione DL 65/2015 per gli anni dal 2012 al 2015: € 437,89 (lordi)
Importo che sarebbe spettato al pensionato per effetto della reviviscenza della normativa anteriore a seguito della dichiarazione di incostituzionalità delle legge Fornero € 4.061,98 (lordi)
Differenza percentuale – 89,20%
Differenza su base mensile dal 2016 : € 116,3825. L’enormità delle conseguenze in termini di effettivo depauperamento del potere di acquisto anche per le pensioni formalmente gratificate dal ripristino del sistema perequativo non merita, invero, alcuna ulteriore considerazione se non quella amara sulla palese irrisione dei diritti dei ricorrenti.
26. In altro senso non può leggersi il simulacro di tutela introdotta con le novelle di cui al d.l. 65/2015 che riconoscono (quando lo fanno) risibili percentuali di rivalutazione che si traducono – alla luce della limitazione percentuale riconosciuta ai fini del trascinamento sugli anni successivi – in valori prossimi allo zero anche per coloro che, invero, formalmente vengono “graziati” di un intervento correttivo.
27. Tale la contestualizzazione risulta inoppugnabile la lesione lamentata in quanto l’intervento normativo sostanzia e rinnova la generalizzata paralisi del meccanismo perequativo per gli anni 2012/2013 (totale e/o parziale poco rileva giusto il portato pratico delle novelle come appena sopra esemplificato) già sancita come incostituzionale dalla sentenza n. 70/2015: “il mancato adeguamento delle retribuzioni (come delle pensioni) equivale ad una loro decurtazione in termini reali con effetti permanenti, ancorché il blocco sia formalmente temporaneo, non essendo previsto alcun meccanismo di recupero, con conseguente violazione degli artt. 3, 36 e 38 Cost” e che “tale blocco incide sui pensionati, fascia per antonomasia debole per età ed impossibilità di adeguamento del reddito – come evidenziato dalla Corte Costituzionale – secondo la quale i redditi derivanti da trattamenti pensionistici non hanno, per loro origine, una natura diversa e minoris generis rispetto ad altri redditi presi a riferimento…” .
28. Tutto questo con buona pace del meccanismo virtuoso che dovrebbe presiedere i rapporti tra le decisioni della Consulta e l’operato del legislatore, mala tempora currunt sed peiora parantur in caso l’ordinamento non opponga una ferma resistenza ad una così smaccata inottemperanza ai crismi di legittimità costituzionale concretamente tracciati dalla Corte Costituzionale.
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In definitiva si è fatto un gran parlare, come al solito, senza aver prima letto la sentenza e ponderato seriamente la questione!
Ribadisco che a mio avviso la sentenza offre nuovi ulteriori spunti positivi per la nostra battaglia.
Ecco quindi la vera lezione che emerge dalla sentenza 173/2016 della Corte Costituzionale.
Avv. Pietro Frisani,
capo staff legale Rimborsopensioni.it