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L’ordinanza del Tribunale di Palermo dimentica la violazione del giudicato costituzionale

L’eccezione sollevata dalla Corte riguarda esclusivamente la fascia di pensionati che percepiscono tra 4 e 5 volte il minimo Inps.

03/02/2016

Come promesso nella nostra precedente comunicazione eccoci qui a commentare l’ordinanza del Tribunale di Palermo che ha rimesso alla Corte Costituzionale il decreto 65/2015 con il quale il Governo Renzi avrebbe dato, a suo dire, applicazione ai principi enunciati dalla Corte medesima.

L’ordinanza è stata emessa dal medesimo Giudice e nel corso dello stesso procedimento che aveva dato luogo alla sentenza C. Cost. n. 70/2015.
Mi spiego meglio.

Quando un giudice ritiene che una norma che deve applicare per decidere un caso a lui assegnato non sia conforme ai principi della Costituzione, dichiara la questione non manifestamente infondata e invia gli atti del procedimento alla Corte Costituzionale unico organo giurisdizionale che può decidere se una norma è o meno conforme alla Costituzione.

Per tutta la durata del giudizio davanti alla Corte Costituzionale, il giudizio da cui è partita la domanda alla Corte ( c.d. giudice a quo) rimane sospeso. Quando la Corte si pronuncia gli atti vengono restituiti al Giudice a quo il quale riattiva il procedimento decidendo il caso anche alla luce della decisione della Corte.

Nella fattispecie che ci occupa, il Tribunale di Palermo nel novembre 2013 nel corso di un giudizio in cui il ricorrente pensionato chiedeva la rivalutazione della sua pensione per gli anni 2012 e 2013 contestando il decreto 201/2011 ( decreto Monti) ha rimesso gli atti alla Corte Costituzionale ritenendo che il decreto fosse contrario alla Costituzione. Così facendo ha sospeso il giudizio che tale è rimasto sino a dopo la pronuncia della Corte.

Come tutti sapete la Corte Costituzionale con la nota sentenza n. 70/2015 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del decreto Monti e, come vi è altrettanto noto, dopo la sentenza della Corte è intervenuto il decreto 65/2015 che ha di fatto vanificato l’intervento delle Corte negando il rimborso a 4 milioni di pensionati.

A novembre il giudizio innanzi al Tribunale di Palermo è ripreso e su richiesta del ricorrente il Tribunale di Palermo preso atto che il decreto Renzi conteneva comunque le stesse violazioni della Carta Costituzionale ha ritenuto di rimettere NUOVAMENTE gli atti alla Corte Costituzionale affinché si pronunci sulla conformità a Costituzione del decreto 65/2015.

Va preliminarmente rilevato che poiché il ricorrente in questo giudizio è uno solo ( ricordo che trattasi di causa pilota ad opera di una associazione sindacale di manager in pensione) che rientra nella fascia di pensione tra le 4 e le 5 volte il trattamento minimo che, come è noto, è stata destinataria di un “bonus” pari al 20% di quanto effettivamente dovuto, la questione di legittimità costituzionale è stata sollevata SOLO PER QUESTA fascia di pensionati, posto che per le altre fasce sarebbe evidentemente mancato il presupposto della rilevanza della questione ai fini della decisione.

Quindi per quanto riguarda questa ordinanza, la Corte si pronuncerà SOLO sulla conformità a Costituzione di questa tipologia di pensionati.

Questo vuol dire che serviranno altre ordinanze di remissione che interesseranno le altre fasce di reddito affinché la questione possa essere valutata per intero dalla Corte Costituzionale.

Questo non deve preoccupare coloro i quali si ritrovano in una fascia di reddito diversa.

Rimborsopensioni.it ha già depositato presso TUTTE le Corte dei Conti italiane e si appresta a farlo ora presso quasi TUTTI i Tribunali italiani, i propri ricorsi che riguardano tutte le fasce di reddito e siamo affinché certi che nei prossimi mesi molti altri Giudici emetteranno ordinanze di rinvio alla Corte Costituzionale.

Venendo al merito dell’Ordinanza devo dire che la stessa mi appare come dire un po’ “stanca”. Non vuole essere una espressione irriguardosa nei confronti del Tribunale di Palermo la cui prima ordinanza di rimessione, è utile ricordarlo, è stata pienamente accolta dalla Corte Costtuinale con la sentenza n. 70/2015.
Devo però constatare come la stessa contenga di fatto la reiterazione dei motivi della precedente ordinanza di rimessione che effettivamente rimangono attuali, ma non ne ha dedotti di nuovi ed in particolare quello che mi sembra assuma rilevanza dirimente per il merito del ricorso: quello del c.d. giudicato costituzionale.

Mi scuserete se sarò un po’ più tecnico del solito ma la questione è molto importante ai fini della fondatezza del nostro ricorso davanti alla Corte Costituzionale e vorrei che il relativo concetto venga ben percepito da tutti Voi.

Si ha violazione del giudicato costituzionale, ovvero delle sentenze della Corte Costituzionale che hanno dichiarato l’ incostituzionalità di una norma, tutte le volte che il legislatore riproduca la medesima norma affetta dai medesimi vizi.

Nelle non poche pronunce della Corte sul tema – molto delicato in quanto involge i rapporti tra i due poteri fondamentali della struttura democratica del nostro Paese il Legislativo e il Giudiziario – la stessa ha rilevato come l’art. 136 della Costituzione che recita “Quando la Corte dichiara l’ illegittimità costituzionale di una norma di legge o di atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione rappresenti un limite invalicabile per il legislatore.

La Corte aderisce peraltro ad una nozione sostanziale di giudicato precisando che “ l’art. 136 sarebbe violato ove espressamente si disponesse che una norma dichiarata illegittima conservi la sua efficacia, del pari contrastante col precetto costituzionale deve ritenersi una legge la quale, per il modo in cui provvede a regolare la fattispecie verificatesi prima della sua entrata in vigore, persegue e raggiunge , anche se indirettamente, lo stesso risultato ( C. Cost. 88/1966)” e ciò lo ha detto con particolare riferimento a leggi con efficacia retroattiva ( in particolare C. Cost. n. 153/1977 e 223/1983), come è appunto quella che ci riguarda.

Applicando i principi fatti propri dalla Corte al nostro caso non può che essere di immediata evidenza la grave violazione del giudicato costituzionale operata dal legislatore con il decreto legge 65/2015 : da un lato la norma neutralizza gli effetti retroattivi della decisione della Corte ( che avrebbero imposto allo Stato di pagare l’intera rivalutazione a tutti i pensionati) incidendo sui rapporti pendenti alla data di pubblicazione della stessa; dall’altro, questa riproduce sostanzialmente, con alcune varianti minime, il contenuto di una norma giudicata incostituzionale.

Francamente non vedo argomenti che possano inficiare questa tesi. L’arroganza del legislatore e la sua maldestra produzione legislativa, unitamente allo sgarbo istituzionale nei confronti del massimo consesso giurisdizionale del nostro paese sono sotto gli occhi di tutti anche di coloro i quali fingono di non vedere!

Chiudo riportando un passo dell’ultima sentenza della Corte sul tema la n. 245 depositata il 31/10/2012 redatta dal prof. Sabino Cassese relativa ad un contenzioso con la regione Puglia: “la Corte rileva con preoccupazione che la Regione Puglia continua ad approvare disposizioni legislative contrastanti con gli artt. 3 e 97 Cost. senza ottemperare a ben due giudicati costituzionali. Come sottolineato da lungo tempo dalla giurisprudenza di questa Corte, sull’art. 136 poggia il contenuto pratico di tutto il sistema delle garanzie costituzionali . Questo comporta per il legislatore, statale e regionale, l’ obbligo di accettare la immediata cessazione dell’efficacia giuridica della norma illegittima anziché prolungarne la vita.

Qualcuno lo dica anche al nostro Presidente del Consiglio dei Ministri!

Avv. Pietro L. Frisani   

Staff legale rimborsopensioni.it

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